La cartapesta è un’arte polimaterica d’origine antichissima. I Greci, già nel secolo IV a.C., utilizzano la fibra di lino, una delle sostanze con cui si fabbrica la carta, per realizzare, unitamente allo stucco ed al colore, le maschere comiche della Commedia fliacica e le maschere cultuali da appendere ai rami degli alberi nei boschi sacri.
L’invenzione del composto per produrre la carta è merito dei cinesi ed è loro anche l’idea di utilizzarlo, dopo averlo amalgamato con pochi materiali di carica, per la produzione di oggetti utili alla casa come scodelle, cofanetti ed altro e in seguito, per creare opere d’arte.
La cartapesta si ricava principalmente con due procedimenti fondamentali: utilizzando un conglomerato a base di pasta di carta, oppure incollando fogli di carta uno sull’altro, con sistemi operativi che si sono evoluti nel tempo.
Nei due procedimenti, da sempre, si utilizza moltissimo materiale cartaceo di recupero ed è perciò che la cartapesta è un’opportunità ideale per il riciclo della carta.
Gli oggetti che si conoscono, appartenenti ad epoche, ad aree geografiche e ad ambiti diversi, consentono di apprezzare le grandi qualità della cartapesta ed è soprattutto la sua duttilità materica che affascina, nel corso della storia, personalità del mondo dell’arte, dell’artigianato e dell’industria. La letteratura d’arte del passato spregia la cartapesta ritenendola ‘materia vile’, poiché è ottenuta dalla frantumazione di umili stracci e, perciò, non è nel novero delle materie tradizionalmente ritenute proprie della scultura. Le cronache d’arte raramente registrano gli avvenimenti e le vicende degli artisti nel loro esercizio di cartapestai.
Vasari, nelle Vite, fornisce notizie di qualche interesse, quando descrive le sperimentazioni di alcuni artisti, eseguite con materiali poveri, simili alla tecnica della carta pesta, termine da lui usato nella “Vita di Domenico Beccafumi”.
Dalle descrizioni vasariane, si conosce che la cartapesta, in Italia, prende avvio a Siena dopo le esperienze manipolative di Jacopo della Quercia, quando sul finire del secolo XIV costruisce il monumento funebre del capitano di ventura Giovanni d’Azzo Ubaldini, su ordine del Comune senese. L’artista, incalzato dalla necessità di eseguire in poco tempo la scultura commemorativa monumentale, modella, su uno scheletro di legno, cordami e altro, un composto di terra e cimatura (scarti della lavorazione delle stoffe). Questa novità tecnica di Jacopo, consente di ottenere risultati sorprendenti e prelude al conglomerato di carta pista degli anni successivi. Le opere superstiti di cornici, di fregi architettonici in area senese, tra i secoli XV e XVI e le notizie riguardanti gli apparati di festa come il monumento semovente di Beccafumi in onore di Carlo V, confermano l’origine di una tecnica povera, nata a Siena, nel Rinascimento. La cartapesta, eseguita con fogli di carta incollati e sovrapposti, è nello stesso tempo utilizzata da Donatello a Firenze che la diffonde nel Veneto, poi per la ‘propaggine padovana’ si espande in Umbria e nelle Marche, infine nel resto dell’Italia.
L’esperienza di Beccafumi favorisce in futuro, sia le applicazioni della cartapesta per gli apparati effimeri di Gian Lorenzo Bernini, di Alessandro Algardi e di altri artisti del periodo barocco e sia le realizzazioni delle scenografie teatrali e degli addobbi nelle chiese.
Non si sa quanto siano debitori a Jacopo Della Quercia artisti come Donatello, Antonio Rossellino, Benedetto da Maiano, quando utilizzano la cartapesta per la produzione di copie da loro prototipi in materiali ritenuti nobili, ma è Jacopo Sansovino che, riprendendo la sperimentazione del grande senese la perfezionerà sulla base delle sue esigenze estetiche, raggiungendo risultati d’altissimo valore. La cartapesta, all’epoca di Sansovino ha un’alta considerazione tra gli aristocratici e tra il ceto emergente borghese ed è utilizzata indistintamente, nelle versioni, sia con i fogli incollati e sovrapposti e sia con il pesto di carta. Gli artisti fanno uso della cartapesta anche per le opere devozionali per soddisfare i bisogni degli umili che esprimono sentimenti di pietà e di venerazione.
Quasi tutti gli artisti citati ed altri, in epoche successive, producono sculture e bassorilievi di cartapesta per il culto pubblico nelle chiese e per quello privato nelle case. Alcune di queste opere, che hanno la fortuna di salvarsi, sebbene siano collocate nei musei, risultano poco note al pubblico.
Le pubblicazioni prodotte, negli ultimi anni, in occasione di mostre delle opere restaurate, unitamente alla divulgazione delle sculture di cartapesta a carattere devozionale dei cartapistari di Lecce, contribuiscono a far conoscere l’aspetto tecnico/linguistico ed il percorso dell’arte della cartapesta nel tempo.
Sono, purtroppo, ancora poco analizzate le cartapeste delle botteghe emiliane e campane, come quelle dei Piò a Bologna, dei Punziano a Napoli, tasselli importanti per comprendere la diffusione della tecnica nelle regioni del Centro Sud. La cartapesta del Settecento e dell’Ottocento primeggia tra le varie forme d’arte applicata e questo è il suo periodo più rigoglioso. Essa compete con le cineserie e adegua la moda orientale alla cultura dell’Occidente e per la duttilità materica e per le infinite possibilità d’applicazione, è definita ‘la tecnica universale’. Si producono suppellettili, bambole, cavalli a dondolo e qualsiasi altro giocattolo ma è nelle opere di grande impegno esecutivo che la materia cartacea è impiegata con successo, come nei soffitti, nelle decorazioni dorate, nelle scenografie teatrali e negli apparati effimeri. Nell’Europa dell’Ottocento c’è un impiego della cartapesta per realizzare mobili, tazzine da caffè, bottoni, decorazioni architettoniche, giocattoli, casse d’orologi, separé, divisori di cabine di navi e tramezzi d’appartamenti. Si hanno notizie persino dell’edificazione d’alcune abitazioni in Australia e di una chiesa a Bergen (Norvegia) che rimase integra per circa trentasette anni.
Nel Novecento, sino al secondo dopoguerra, si fa un largo uso della cartapesta per l’artigianato, per l’industria e pure per diversi allestimenti cinematografici e teatrali. Alcuni elementi scenici per la televisione dei primi anni si realizzano in cartapesta, che è considerata la materia ideale per gli allestimenti spettacolari. In seguito, l’introduzione dei nuovi materiali plastici nella produzione seriale dei giocattoli, negli allestimenti scenici e nelle realizzazioni di varie suppellettili, avvia il lento ma inarrestabile declino della cartapesta. Essa anche dove un tempo era fiorente scompare quasi del tutto e solo in pochi centri si attesta a baluardo delle secolari tradizioni. In questi centri la cartapesta si pratica, ancora oggi, con antiche e nuove metodologie, per costruire i Ceri delle festività religiose, per allestire i Carri allegorici dei Carnevali e per realizzare le Statue devozionali delle chiese.
Questo studio traccia il percorso della tecnica dalle origini sino ai nostri giorni e, lungo l’itinerario, analizza le opere e i metodi esecutivi di alcuni artisti. La presente indagine, fondata in modo non secondario sulle esperienze dirette di chi scrive, accumulate nel corso della propria attività di scenografo – scenotecnico, di costruttore di maschere, di didatta della cartapesta e di restauratore di opere museali, è anche una guida all’analisi del processo creativo degli artisti studiati, delle fasi del loro lavoro, delle finalità e del rapporto che hanno con il pubblico. Nell’analizzare la connessione tra artisti e committenza può capitare di scoprire qualche vicenda intrigante e curiosa come per esempio quella delle statue sacre fatte eseguire con un pesto ottenuto dalla macerazione delle carte da gioco, a seguito di rinati movimenti penitenziali.
In genere l’arte della cartapesta è conosciuta dal grande pubblico per il rapporto che ha con il Carnevale, ma è ignorata del tutto per quanto riguarda la sfera dell’arte.
È ancora perdurante il convincimento che la povertà della materia produca un’aridità artistica, sebbene le esperienze contemporanee elevino qualsiasi materiale a forme d’arte: uno dei movimenti recenti si denomina proprio Arte Povera e ancor prima, gli artisti informali, a cominciare da Burri, si esprimono soltanto con la materia che diviene il punto d’appoggio delle loro attività creative. Questo pregiudizio, invalso nell’opinione pubblica, profondamente radicato nella coscienza critica di ognuno, scoraggia l’avvio al collezionismo di oggetti di cartapesta e demoralizza persino giovani studiosi ad intraprendere ricerche sistematiche sulla storia e sulle metodiche di questa tecnica.
La consapevolezza e il timore che una misconosciuta, ma molto significativa forma d’arte, possa disperdersi ulteriormente, motivano chi scrive a sistemare piccole e grandi ‘tessere’ d’informazione per iniziare a comporre un mosaico dove sono considerati gli artisti, le opere e le vicende di una delle attività umane più affascinanti.
Lo studio ha inizio dall’esposizione dei primi tentativi di produzione della cartapesta, rapportata allo stucco da cui si evolve, per poi analizzare le opere, tracciando il percorso della storia dell’arte della cartapesta dalle esperienze delle botteghe toscane sino all’arte moderna.
Alcune opere analizzate di collezioni private sono inedite.”
Ezio Flammia